Un po' di storia: le origini della TAV

L’alta velocità ferroviaria è nata a metà degli anni 80 in sede politica. Gli ingegneri dell’Ansaldo, a cui un paio di anni prima era stato affidato il compito di progettare, per quanto riguardava il settore ferroviario, il Piano Generale dei Trasporti, non l’avevano prevista. In questa prima anomalia si trova il segno dell’intera vicenda; se in effetti limitassimo la discussione sull’alta velocità italiana nei termini tecnici ed economici della scienza classica, l’argomento potrebbe essere chiuso in tre righe. I treni A. V. sono treni passeggeri che si spingono al limite della tecnologia ferroviaria pagandone, poiché i miracoli sono rari, il prezzo relativo: una linea interamente nuova, con modificate caratteristiche geometriche dei binari e con diversa alimentazione, un costo di manutenzione e di ammortamento all’incirca triplicato rispetto a quello delle linee convenzionali. In termini economici, l’investimento può tuttavia risultare conveniente quando un numero sufficientemente alto di passeggeri - tra 30 e 50 mila al giorno, tanto per dare dei numeri - sia disposto a pagare il relativo biglietto. Fatti i conti, risulta che questo è possibile quando si hanno città di qualche milione di abitanti, poste ad una distanza compresa tra 300 e 500 km, e con una pianura in mezzo possibilmente poco abitata. Si tratta del caso della Parigi – Lyon, la cui realizzazione viene considerata un successo commerciale. Si tratta anche della maggior parte delle linee costruite in Francia e Germania. Una notevole eccezione è rappresentata dal collegamento Parigi – Londra; il destino ha voluto che qui si trovasse in mezzo non solo della pianura, ma anche un braccio di mare. Il problema è stato tuttavia risolto con un crack da 20000 miliardi di lire, addossato in parte alle migliaia di poveri scemi che avevano investito i loro soldi nella costruzione del tunnel, e per il resto a tutti i cittadini francesi. Si tratta di un metodo brillante, ma non ripetibile in tempi brevi, per ragioni che non vale la pena di spiegare.
Claudio Cancelli

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