Tav e le ferrovie. Un processo decisionale trasparente e pubblico

Un interessante articolo da Liberazione del 6/1

di Gerardo Marletto*

In questi giorni si è giustamente riacceso il dibattito sul sistema dell’alta velocità ferroviaria italiana (Tav); tra gli interventi da segnalare quelli pubblicati da Liberazione nei giorni scorsi (28 e 29 dicembre), ma anche l’autonoma inchiesta di cui dà conto l’Espresso ora in edicola. Questo risvegliarsi di un’attenzione mai completamente sopita, innanzitutto grazie alle mobilitazioni pluriennali della Val di Susa, è stato determinato dalla decisione recente del Governo Prodi di riportare alla luce, e contabilizzare nell’esercizio finanziario del 2006, l’ingente debito legato alla costruzione della nuova rete ferroviaria che, con operazioni di finanza “creativa”, era stato nascosto nei bilanci di Spa pubbliche.
Va detto però che tutta questa attenzione si rivolge a un processo in larga parte irreversibile: il sistema ferroviario italiano ad alta velocità è infatti in parte già in esercizio (la Roma-Napoli e la Torino-Milano) e in parte in uno stato di costruzione più o meno avanzato (la Firenze-Bologna e la Bologna-Milano). Forse sarebbe allora il caso di avviare una discussione pubblica anche sul modello di esercizio di questa nuova - e costosissima - rete; le prime tratte dove già corrono i treni non fanno infatti ben sperare: i nuovi servizi si contano sulle dita di una mano e rientrano (come previsto) nella fascia più alta di prezzo dell’offerta di Trenitalia. Non voglio con questo sostenere che l’opposizione al modello Tav debba arrestarsi, al contrario: la lotta contro i collegamenti ancora in discussione (la Torino-Lione e l’attraversamento sotterraneo di Firenze, ma anche il nuovo Brennero e la futuribile Napoli-Battipaglia) è del tutto coerente con l’avvio di una discussione seria e partecipata su quale sia il modello di servizio ferroviario di cui ha bisogno il Paese. Pur essendo consapevole che la storia non si fa coi se, però lo devo dire: se si fosse discusso prima del modello migliore di servizi ferroviari per il Paese, si sarebbe scoperto che sarebbe stato più utile un nuovo sistema di infrastrutture meno orientato alla velocità e più al raggiungimento del centro delle tante città del nostro territorio (e non solo di una decina di grandi poli metropolitani). In una battuta: qualcosa di più simile all’Ice tedesco che al Tgv francese. Certo ne avrebbero sofferto le nostre grandi imprese di progettazione e costruzione, ma ne avrebbe guadagnato il Paese in opere utili e minori costi.
Il problema è che non si capisce chi in Italia abbia oggi il potere di decidere su una questione così importante come il modello di esercizio dei servizi ferroviari. Chi decide se far viaggiare più treni a lunga distanza con poche fermate o più treni locali? Chi decide quali sono le coincidenze e le frequenze più adatte a servire la domanda (quella esistente e quella nuova da attrarre)?
Chi decide se gli obiettivi di fatturato delle aziende devono essere raggiunti attraverso prezzi alti (e domanda bassa) o prezzi bassi (e alta domanda)? E infine chi decide quali e quanti treni far correre sulle nuove tratte ad alta velocità? Certamente la separazione tra rete e servizio introdotta dalle direttive europee non ha certamente semplificato la situazione. Da una parte abbiamo infatti le strutture di vertice del gestore della rete (la Spa pubblica Rfi del gruppo Fs) che hanno la responsabilità di definire le linee portanti del sistema nazionale di circolazione dei treni; per farlo devono dialogare col principale produttore di servizi ferroviari (la Spa pubblica Trenitalia, sempre del gruppo Fs). Trenitalia ha però a sua volta al suo interno tre divisioni, ciascuna responsabile di un tipo di servizi: la lunga percorrenza (Eurostar, Intercity e i pochi espressi che restano), il trasporto regionale e il merci. Il quadro è ulteriormente complicato dal fatto che da una decina di anni Trenitalia deve concordare i servizi ferroviari locali con le Regioni, attraverso dei veri e propri contratti pluriennali che fissano i livelli di servizio e le relative tariffe.
In qualche modo che mi è oscuro (e mi chiedo se sia chiaro a qualcun altro oltre ai pochi dirigenti di Fs che direttamente partecipano all’operazione) questo complicato processo produce con cadenza ormai annuale l’orario ferroviario nazionale. Da questo orario dipende la quantità e la qualità dell’offerta di servizi ferroviari; o, detto in altri termini, la qualità del viaggio di chi, frequentemente o occasionalmente, usa il treno per spostamenti brevi, medi e lunghi. Allora la mia opinione è che una questione così importante come la quantità e la qualità dei servizi ferroviari nazionali debba essere riportato all’interno di un processo di decisione pubblica e trasparente, in cui a decidere siano i reali proprietari delle “aziende” ferroviarie, che non sono né gli amministratori e i dirigenti delle varie Spa pubbliche, né i ministri e i dirigenti dei ministeri che a vario titolo se ne contendono il controllo (il Tesoro, i Trasporti, le Infrastrutture). I reali proprietari sono i cittadini. Ora, senza stare ad immaginare procedure immaginifiche di democrazia partecipativa, mi permetterei di proporre un obiettivo più modesto, ma comunque dirompente rispetto all’attuale status quo decisionale. Lo riassumo schematicamente in pochi passaggi. Primo passaggio: le Commissioni parlamentari competenti in materia di trasporti – con il concerto istituzionale del coordinamento degli assessori regionali ai trasporti – elaborano le linee-guida dell’orario nazionale dei servizi ferroviari.
Secondo passaggio: le linee-guida vengono trasmesse come atto di indirizzo al Governo che, con le proprie strutture amministrative e l’eventuale supporto di quelle di Fs costruisce lo schema di dettaglio dell’orario nazionale. (Apro una parentesi: quando il ministero dei Trasporti si doterà di strutture tecniche capaci di pianificare i sistemi di trasporto senza dover ricorrere a consulenti esterni o alle strutture delle aziende?)
Terzo passaggio: le Commissioni parlamentari e il coordinamento degli assessori regionali approvano l’orario nazionale o lo rimandano al Governo con la richiesta di procedere agli aggiustamenti necessari per renderlo coerente con le linee-guida inizialmente approvate.
Come si vede si tratta di uno schema molto semplificato e con un tasso di democraticità molto ridotto, che però potrebbe essere aumentato con semplici accorgimenti, ad esempio rendendo obbligatoria l’audizione dei comitati dei pendolari o sottoponendo al voto parlamentare le linee-guida elaborate dalle Commissioni. Ma lo ripeto: data la situazione attuale, mi contenterei anche della proposta semplificata.
Va detto infine che questo schema di decisione darebbe un contributo significativo ad affrontare in modo allo stesso tempo più razionale e più trasparente anche l’annosa questione degli investimenti. Dovrebbe essere infatti compito del Governo segnalare alle Commissioni parlamentari gli investimenti in nuovi treni o in linee e stazioni da potenziare, necessari per raggiungere gli obiettivi impliciti nelle linee-guida dei servizi ferroviari. In questo modo si uscirebbe dalla questione che da anni attanaglia il sistema ferroviario nazionale: da un lato abbiano situazioni di congestione e affollamento perchè mancano le nuove (piccole!) opere necessarie per aumentare il livello dei servizi e dall’altra si costruiscono nuovi pezzi di rete senza neanche sapere quali e quanti servizi verranno offerti (e purtroppo, lo ricordo ancora, il nuovo sistema Tav è fra questi). Certo, per far funzionare questo semplice e innovativo schema di decisione servirebbe un’altrettanto semplice legge parlamentare. Ma questo è compito che non tocca a me.
*Professore associato
di Economia applicata,
Università di Sassari

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