La Tav in Val di Susa? Bruscolini

Se uno fa il giornalista da decenni, certe sfumature le coglie facilmente. Ma per la verità basta un po’ di aritmetica per decrittare l’articolo festoso con il quale La Stampa di Torino ha annunciato ieri: «Torino-Lione, 670 milioni dall’Ue». L o scoop, consiste nel fatto che il Commissario europeo ai trasporti, il francese Barrot, avrebbe definito la ripartizione dei 5,7 miliardi di euro destinati alle «reti transeuropee». Alla Tav in Val di Susa andrebbero 670 milioni per il periodo 2007-2013. In questi sette anni, scrive La Stampa, si dovrà «concludere la definizione del tracciato e stimarne fino in fondo l’impatto ambientale» [altri 800 milioni andrebbero all’alta velocità che dovrebbe passare sotto il Brennero]. Scrive dunque l’inviato Marco Zatterini: «In luglio il ministro per le infrastrutture Antonio Di Pietro ha indicato che il progetto… richiede – per il settennato in questione – 983 milioni di euro… Ne arriveranno, se tutto andrà per il meglio, 670 e rotti, poco di meno». Ma, a parte che 213 milioni non sono bruscolini, poco prima Zatterini aveva precisato che la «somma andrà per due terzi all’Italia e per uno alla Francia». Il costo stimato da Di Pietro è quello a carico della sola Italia? In quel caso, la differenza in meno è di 213 più una cifra equivalente. E non è neanche certa, perché appunto gli stati a fine mese dovranno dire la loro.
Ma soprattutto [ed è qui la sfumatura]: dire che si tratta di «concludere la definizione del tracciato» comporta un vigoroso slittamento di senso. Non si può «concludere» una cosa che non si è iniziata. Come alla Stampa è ben noto, il faccia a faccia tra sostenitori della Tav [tutte le istituzioni dalla Regione in su] e gli oppositori [tutte le istituzioni dai comuni della Val di Susa in giù, ossia la generalità dei cittadini] si è provvisoriamente attestato sul lavoro del cosiddetto Osservatorio tecnico, il quale ha azzerato ogni precedente progetto e sta tentando, molto faticosamente, di trovare le premesse per farne un altro. Che semplicemente non esiste, appunto, salvo le mappe a colori che La Stampa o la Repubblica di Torino periodicamente pubblicano e che sono più che altro fantascienza, o riti di rassicurazione come la danza della pioggia.
E poi: quale lettore non ricaverà l’impressione, da un tale articolo, che la Tav costa, per lo meno nel periodo tra adesso e il 2013, 983 milioni in tutto? Se si scrive che con quei soldi già nel 2011 si potranno «accendere i motori delle ruspe», il messaggio che arriva è proprio questo. Peccato che il vecchio progetto, quello finito nella spazzatura, prevedesse un costo, per il solo tunnel in Val di Susa [poi ci sono gli enormi problemi della linea ad alta velocità attorno e dentro Torino, ecc.], di circa 15 miliardi di euro [che nel caso del Brennero sono addirittura 20]. E considerato come montagne di statistiche mostrino che il costo di un’opera pubblica, in Italia, lievita sempre in modo catastrofico, anche quella cifra è sottostimata. Per cui con 670 milioni [o 450] il drago delle grandi opere al massimo ci si tappa un dente cariato: il suo appetito è ben più vorace.
Qualche giorno fa una delegazione valsusina è stata ricevuta dal presidente del consiglio Prodi, cui ha consegnato le 31 mila firme raccolte in valle contro la Tav, e che erano già state portate a Bruxelles. Si può dire che, tranne i bambini e i carabinieri delle stazioni di montagna, ha firmato una percentuale enorme di cittadini. Cosa diranno, quando si dovessero «accendere i motori delle ruspe?». La Stampa, giornale perspicace, non si pone questa domanda essenziale.

di Pierluigi Sullo, da Carta del

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