Ponte sullo Stretto: la Corte dei Conti fa scoppiare la balla
La Corte dei Conti ha negato il visto e bloccato l’iter del Ponte sullo Stretto. Per conoscerne bene le ragioni bisognerà aspettare le motivazioni, previste tra circa un mese. Ma già oggi possiamo richiamare i rilievi dei consiglieri istruttori, così come riportati nelle sintesi giornalistiche.
Non c’è stato bisogno di valutare gli aspetti tecnici della questione, pur assai rilevanti nei progetti, grandi o piccoli, di trasformazione del territorio. La Corte non poteva né doveva entrare nel merito di tali questioni, e ha, invece, verificato la consistenza del coinvolgimento nella procedura degli attori competenti a valutare correttamente tali profili: il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, per la costruibilità (questione decisiva e dirimente); l’Unione Europea, per l’assenza di Valutazione ambientale strategica (VAS) e di Valutazione d’incidenza negativa (la dimostrazione di ottemperanza dei rilievi ambientali della VIA); l’Autorità dei Trasporti, per la veridicità delle stime di traffico e quindi della convenienza e remunerabilità del progetto; l’ANAC e la stessa Unione Europea per la coerenza e la conformità alla normativa delle procedure di appalto. Ebbene tutte queste verifiche sono risultate assenti o negative. Fino a confermare l’impressione che l’azione di governo, invece che alla realizzazione del Ponte, sia tesa a ottimizzare la speculazione politico-propagandistica, nonché quella finanziaria, dei soggetti legati all’operazione: almeno fino all’inevitabile interruzione (“recesso”) della procedura, che prevede consistenti penali a risarcimento degli attori imprenditoriali coinvolti.
La costruibilità del Ponte è tutt’altro che dimostrata: anzi prevalgono i pareri tecnici opposti. La questione è diventata decisiva quando il coordinamento tecnico-scientifico del team progettuale, diretto dal prof. Remo Calzona, si dimise (2009) con lettera al presidente del Consiglio e ai ministri competenti, dichiarando “irrealizzabile” il progetto “a unica campata di 3600 metri”, del quale, quindi, non andava approvato il progetto definitivo, e tanto meno il passaggio a quello esecutivo, «che dimostrerebbe l’esatto contrario del necessario, ovvero la non costruibilità del manufatto». Vanificando tra l’altro le eventuali ingenti spese di progettazione esecutiva. E questo non solo per i problemi sismo-tettonici e idro-geomorfodinamici dello Stretto (i geologi consulenti della Concessionaria si sono inventati le “faglie attive non morfogenetiche”), ma anche per i problemi, numerosi e rilevanti, della struttura principale, «per cui non esistono oggi materiali in grado di rispondere positivamente alle sollecitazioni che l’armatura del ponte subirebbe dall’ambiente circostante». La concessionaria querelò i coordinatori progettuali che contro querelarono e alla fine ebbero ragione. Calzona e altri, come Codacci Pisanelli, si sono espressi diverse volte su questo, anche di recente, sempre in ambiti professionali senza risonanza mediatica, in consessi e seminari strettamente tecnico-scientifici, con rapporti molto tecnici, spesso pubblicati in lingua inglese. Calzona ha poi prodotto un volume sul tema, significativamente intitolato La ricerca non ha fine, indicando come su tale questione non siamo in fase di progettazione ma bisogna ritornare alla fase di ricerca: «In ogni caso» – conclude il tecnico delle costruzioni di grandi infrastrutture – «appare meno improbabile la realizzazione un giorno del progetto con pilastratura nello Stretto, pure già bocciata, che il ponte a campata unica di tre chilometri e mezzo». Alla stessa posizione è giunta la commissione tecnica istituita qualche anno fa dal Governo Draghi per la valutazione di diverse soluzioni di “attraversamento stabile” (in cui Renzi però pretese e ottenne l’esclusione della “opzione zero”, di gran lunga più conveniente). Tali problemi sono noti a tutti gli attori in campo, compreso Salvini, che, quando era Renzi lo sponsor del Ponte, scriveva sull’organo del suo partito: «Renzi vuole convincerci a realizzare qualcosa che i suoi ingegneri dichiarano incostruibile». Anche per questo è alto il sospetto che, allorché a ogni puntata delle telenovela, il ministro di turno lancia le tre parole di Cetto La Qualunque, “facciamo il Ponte”, intenda solo ottimizzare la rendita speculativa, finanziaria e politico-propagandistica, almeno fino alla conclusione della puntata.
Ciò richiama un‘altra indagine che sta svolgendo la Corte, sempre sulla procedura del Ponte, che riguarda l’accordo precontrattuale con le imprese, in vista di un’eventuale rinuncia al contenzioso esistente, prevista dal decreto del maggio 2023, per la riesumazione della veste giuridica del Contraente generale, che a tutt’oggi non esiste. La prossima udienza al Tribunale di Roma è prevista nel marzo 2026: fino ad allora non esiste giuridicamente il general contractor e, quindi, non può avviarsi alcunché. La Corte indaga sull’accordo preliminare perché, per rinunciare al contenzioso, le imprese avrebbero chiesto il pagamento di una penale pari al 10% del costo totale del progetto, «qualunque siano le motivazioni e gli attori deteminanti» per il recesso. La concessionaria dapprima ha confermato (Il Fatto quotidiano, 20 maggio 2025), poi, più di recente, ha parlato di “molto meno”. In ogni caso siamo attorno al miliardo di euro.
Quanto sopra spiega la necessità del rispetto della “prescrizione normativa” assunta dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici e ripresa dall’allora CIPE, dapprima nel 1977 e quindi nel 2002 (dopo la promulgazione della Legge Obiettivo), in punto possibilità di avviare i lavori, una volta approvato il progetto definitivo non esecutivo. «Per i progetti di particolare arditezza ingegneristica – e nella relazione di accompagnamento si citava espressamente il Ponte – prima dell’approvazione del progetto esecutivo non si possono avviare neppure i lavori preliminari». Il Concessionario sostiene che tale regola non abbia più vigenza mentre diversi organi dello Stato pensano il contrario. Evidentemente la Corte dei Conti è tra questi, se segnala la mancata validazione del progetto da apposita autorità tecnica. Inoltre si è in contrasto anche con le normative UE, che confermano la necessità di progettazione unitari, laddove l’avanzamento “per fasi realizzative” è previsto solo per i lavori veri e propri.
Riattribuire, senza nuova gara, un appalto, tra l’altro di valore triplicato rispetto all’originario, allo stesso gruppo di imprese (tra l’altro ancora giuridicamente inesistente come general contractor) è – come ha rilevato l’ANAC – una procedura eccessivamente disinvolta che contrasta con la normativa nazionale ed europea. Il decreto di “resurrezione” del Ponte è stato molto criticato proprio per la mancanza di fondamenti giuridici. In effetti esso effettuava diverse “magie”: resuscitava la concessionaria già liquidata; ripristinava l’affidamento dei lavori al general contractor di un tempo (che non esisteva allora e giuridicamente neppure oggi); ripristinava la legge di riferimento (intanto abrogata) con una pratica prefvista per la prosecuzione di opere già avviate, mentre in questo caso la liquidazione della concessionaria, la cancellazione del progetto e la caducazione dei contratti erano tutti atti ormai compiuti. Da notare che era in discussione la stessa fonte normativa del provvedimento e che la valanga di ricorsi ed esposti alla magistratura amministrativa, civile e penale, nonché alla Corte Costituzionale, ha portato a una serie di istruttorie ancora in corso: solo dopo la pronuncia della Corte dei Conti il TAR Lazio ha fissato per gennaio l’udienza di merito per i ricorsi dei Comuni di Villa S.G. e Messina. Tra l’altro l’affidamento diretto a un general contractor costituito da soggetti privati, a fronte di un valore dell’appalto intanto triplicato con capitale totalmente pubblico, assomiglia troppo a un‘indebita mega trattativa privata con vantaggio eccessivo per i privati coinvolti. Tutto ciò rileva per i contrasti con la normativa nazionale ed europea: tra l‘altro l’UE prescrive che non si possano riaffidare, senza nuova gara, appalti aumentati nel periodo interessato di più del 50% d di quello originario mentre qui siamo passati da 4,5 a 13,5 miliardi di euro, con appalto più che triplicato e aumenti non giustificati dall’incremento dei costi. In ogni caso le schede dei costi allagate al progetto erano e sono rimaste assai carenti.
Altro problema sottoposto alla Corte è che gli esiti delle verifiche degli attori competenti non sono (ancora?) arrivati: in particolare manca la Valutazione ambientale strategica (VAS) e ed è incompleta la Valutazione d’incidenza negativa (VINCA) entrambe richieste dalla UE. Delle prescrizioni della Commissione VIA/MASE – pure molto addomesticata – non è dimostrata l’ottemperanza; anzi spesso essa viene rinviata alla fase di progettazione esecutiva, con provvedimento quanto meno singolare, al limite dell’illegittimità. Per la VINCA si invoca, tra l’altro, la procedura “Imperanti motivi di necessità e urgenza” (IROPI) che nella fattispecie non sussistono. L’uso parziale per mobilità militare, infine, è stato da tempo bocciato dalla stessa NATO, che ha rilevato il rischio che, in caso di eventi bellici, la mega opera divenga obiettivo critico.
Vantaggi e convenienze dell’opera sono tutt’altro che dimostrati, come sostengono da tempo, tra gli altri, gli economisti Domenico Marino, Leonzio Rizzo e Sergio Signorino, e il pianificatore dei Trasporti Domenico Gattuso. Secondo i loro studi, i passaggi in attraversamento nello Stretto sono drasticamente calati, in pratica crollati, nel cinquantennio. Quando fu ucciso Peppino Impastato (1979), perché tra l’altro indagava sulla costruenda terza pista di Punta Raisi (Palermo) la Sicilia aveva due aeroporti e tre piste. Oggi possiede sei aeroporti e 16 piste e il traffico aereo è aumentato del 3200% nel cinquantennio! Negli anni ottanta si registravano nello Stretto più di 7 milioni di passaggi, ridotti a 4 negli anni novanta a 3 nel 2000 e a non più di 2,7 milioni oggi. Gattuso sostiene nel periodo medio lungo resterà solo un po’ di traffico locale: per cui lo Stretto ha bisogno di un barcabus H 24. Altro che megaopera! Il bilancio costi/benefici è dunque fortemente negativo. Eppure la Concessionaria non ha sottoposto le stime di costi e traffico all’Autorità Nazionale dei Trasporti. Anche le ipotesi tariffarie formulate sono sbagliate: probabilmente assai inferiori a quelle in realtà necessarie.
In attesa della pubblicazione delle motivazioni della Corte, molte inadempienze e violazioni sono già – come si vede – di tutta evidenza.
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